giovedì 19 maggio 2016

The End

Non c’è più acqua, il sangue però non manca.

Iniziata (benino) nel 2005 (Contracuerpo) la trilogia A contraluz è poi proseguita (calando) due anni dopo con Alumbramiento e si è conclusa (maluccio) nel 2008 con The End, nomen omen che non ha niente di così definitivo nei confronti del trittico, infatti i tre corti presentano un’alta dose di reciproca eterogeneità che li rende totalmente indipendenti sia per argomenti che per stile di rappresentazione, per cui la portata di quest’ultimo lavoro di Chapero-Jackson non ha granché di ultimo se non per motivazioni intrinsiche a ciò che narra o a questioni prettamente numerologiche. Insomma, al cospetto della tripletta The End si pone alla conclusione solo perché arriva dopo gli altri due, la cifra teorica che lo vorrebbe come pietra tombale di un percorso di studio non si realizza porgendo altresì il fianco ad una serie di inevitabili critiche.

Rispetto ai suoi colleghi The End non centra il tema di riferimento, la fatica nel tentativo di proporlo è sintetizzata da un andamento prevedibilissimo che vaga tra i generi (dalla fantascienza al western) perdendosi ben presto come la famigliola assaltata dai farabutti. La faccenda dell’acqua diventa un pretesto di sfondo che il regista utilizza per dettare in modo banale quanto e come possa diventare bestiale l’essere umano in situazioni di difficoltà, e ciò potrebbe andare bene se non fosse che nell’illustrare tale ferocia (si fa per dire) il corto sfiora vertici di ridicolo involontario prodigandosi in sparatorie con annesse uccisioni e immediate vendette. Non si capisce davvero dove voglia andare a parare Chapero-Jackson, la fermezza nell’inscenare e nell’ostentare il dramma finisce, come di consueto, per sortire gli effetti contrari, pertanto la conclusione trascinata all’esasperazione dei toni fa auspicare al più presto l’entrata della scritta su sfondo nero che costituisce il titolo.

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