mercoledì 27 gennaio 2016

Teddy Bear

La contrapposizione lapalissiana di Dennis (2007) tra ciò che il suo protagonista era all’esterno e ciò che realmente era all’interno si dimostrava fallace e nemmeno in grado di reggere il peso esiguo di un cortometraggio. Evidentemente Matthiesen al tempo non condivideva tale opinione e così cinque anni dopo se ne uscì con 10 timer til Paradis, film che riprende nuovamente la vita del culturista Dennis (la prima manciata di minuti con l’uscita galante e il rientro a casa con bugia è infatti una sintesi di quanto accadeva nel corto) il quale nonostante sia passato del tempo è ancora alla ricerca dell’anima gemella. Se però niente è cambiato nella caratterizzazione generale della dimensione filmica, allora la mono-idea che tentava di sorreggere ogni principio senza riuscirci palesa una serie di difficoltà anche qua; certo, trattandosi di un’opera più lunga il regista danese ha potuto approfondire talune questioni e dare un respiro più ampio alla vicenda con la trasferta asiatica, tuttavia, strizzando strizzando, il risultato complessivo lambisce un’orizzontalità insoddisfacente.

E proprio la parte ambientata in Thailandia risulta parecchio banalotta soprattutto a causa di una scrittura ampiamente anticipabile per via dello scarso spessore (ovviamente non fisico) di Dennis, sicché nell’assistere alle avances di giovani disinibite rifiutate dal bodybuilder è facile prevedere che la donna da lui agognata nulla avrà a che vedere con quelle sgallettate imprenditrici di se stesse nel commercio sessuale. E l’ovvietà sopraggiunge quando le predizioni trovano conferma: Dennis scopre finalmente l’altra metà della mela in una tipa qualunque che non ha niente in comune con le sue uscite danesi e men che meno con quelle thailandesi. Al ritorno in Europa il film si ravviva: lasciati da parte i sonnolenti episodi sentimentali affiora il tema indubitabilmente più interessante del rapporto-campana di vetro fra Dennis e la mamma messo per la prima volta in dubbio dalla presenza di una fidanzata. Se fosse stato dato più spazio a questa sorta di triangolo combattuto da due differenti tipologie di amore (materno vs. relazionale) Teddy Bear avrebbe avuto una misura più ampia, invece concentrato com’è ad evidenziare la timidezza di Dennis perde nel tragitto l’auspicata deflagrazione del genitore-chioccia ridotta ad un breve segmento, l’unico centrato, dove i tre pianeti si allineano in un negozio di biancheria intima femminile.

Per ripetere l’antifona: la figura di Dennis funziona al massimo per qualche scena, appena comprese le motivazioni di Matthiesen il quadro scolora nel mettere in atto un insipido teatrino piuttosto conformato e prevedibile, e allo stesso tempo lo sviluppo che avrebbe dato una vera direzione al film viene relegato negli ultimi venti minuti di proiezione sfibrando di potenziale.

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