venerdì 5 gennaio 2018

Thelma

Se avessi letto la sceneggiatura di Thelma (2017) prima dell’effettiva visione avrei bollato l’operazione troppo ardita nel mero comparto tramico: religione, amore saffico, sensi di colpa, superpoteri che sembrano provenire da un Cronenberg 80’s, no, il frullato sulla carta non avrebbe potuto funzionare, a meno che la trasposizione in scena della pagine scritte dal sodale Eskil Vogt (il suo Blind [2014] possiede la tendenza non dissimile di affacciarsi sull’irrazionale) non fosse stata esposta con grazia estetica e finezza autoriale tali da rivalutare una sinossi parecchio audace. Se Joachim Trier sia riuscito in pieno nell’intento di rendere “serio” un film che rischiava di impantanarsi nel basso genere è una cosa di cui non sono riuscito a farmi un’idea definita, al contempo però trovo che il lavoro svolto per nobilitare la storia valga ben più di qualche complimento, ma del resto Trier è regista che ha già dimostrato un discreto valore anche quando si è misurato con un prodotto più esportabile e a mio avviso fin troppo sottostimato (Segreti di famiglia, 2015). Sicuramente i due norvegesi si sono impegnati oltremodo per complicarsi la vita, la scelta di approdare nei territori del thriller soprannaturale li ha spinti a dare una coerenza narrativa a quanto raccontato, le spiegazioni ci sono, il che è un dato importante poiché il cinema non necessita di chiare decifrazioni, ed essendoci schematizzano forse più del dovuto ciò che si vede, rielaborando la proiezione sembra, almeno al sottoscritto, che tutto si possa governare con agilità: abbiamo l’eziologia del disturbo (la nonna, inserita con un pelo di forzatura), i connotati del disturbo stesso, i perché e i percome (ah, l’incipit) ed una tessitura sentimentale il cui meccanismo, va detto, è comunque intrigante.

Sintetizzando, Thelma è foriero di una lettura maggiormente semplice rispetto al primo possibile impatto, chi può considerarlo un punto a sfavore di Trier lo tenga ben presente prima di affrontare la pellicola. Evidenziato suddetto aspetto, non nego che comunque nelle pressoché due ore di girato l’attenzione di chi guarda è sempre saldamente nelle mani dell’opera che ha un ritmo suo, a metà strada tra un blockbuster di qualità e un oggetto sommerso, oltre ad una capacità di vivere su strappi visivi molto energici che ci fanno alzare di un poco l’asticella dell’ammirazione verso Trier, mi riferisco alle sequenze di natura incerta che si svolgono in quel limbo mentale tracimante nel reale dove spicca un gran bel gusto formale e dove delle Immagini si salvano automaticamente nella nostra memoria: il serpente tentatore che striscia nella bocca di Thelma e la ripresa subacquea in cui la ragazza pare nuotare in un oceano oscuro sono solo i primi due esempi che sovvengono in un film punteggiato da uno stile che banalmente si può stabilire così: piacevole. Per una sensibilità personale ho trovato un’affinità superiore con gli esordi dello scandinavo, Reprise (2006) e Oslo, August 31st (2011), dove il tono seppur minore trasudava una drammaticità sentita, tuttavia bisogna riconoscere che nel prosieguo professionale, pur sconfinando in altri territori, il buon Joachim ha mantenuto una discreta continuità tematica (cfr. ancora il film “americano” del 2015), infatti Trier è notevolmente attratto dalla polveriera che si può nascondere in una famiglia, qui se accettiamo la boutade del paranormale la tragedia nel focolare è bella spessa e nel picco parossistico ha anche un’istantanea luttuosa che non si era mai vista al cinema (la silhouette del neonato sotto il ghiaccio fa male), e, di nuovo sul versante parentale, è azzeccato il contrappasso incendiario che subisce il padre sulla barca.

Nel complesso, a prescindere dallo slancio azzardato nel fantastico e ad un apparente arzigogolamento del plot, si palesa una competenza talmente di livello da interrogarmi se in Italia sia possibile produrre manufatti con una cifra internazionale egualmente vendibile all’estero, non so se sono vittima della sindrome “il compito del mio vicino di banco è sempre migliore del mio” o se l’esterofilia che volenti o nolenti ci suggestiona abbia un peso decisivo in termini di fascinazione, ma fatico ad immaginare che su un Thelma qualsiasi possa campeggiare il tricolore italico...

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