lunedì 27 novembre 2017

Shinjuku Swan

Stando al 2015 in casa Sion Sono pare che le idee inizino a scarseggiare paurosamente, il regista giapponese nel giro di due anni ha firmato tre film pressoché identici alla cui base c’è sempre stato un substrato gangsteristico, quello che superficialmente cambiava era il filtro attraverso il quale ci è pervenuta la suddetta rappresentazione di faide fra bande rivali, una volta è andata benino poiché Sono nel calderone ci ha buttato dentro parecchia roba frizzantina (Why Don’t You Play in Hell?, 2013), poi siamo calati con un’opera dall’impostazione musicale che dopo dieci minuti esauriva la voglia di proseguire (Tokyo Tribe, 2014), e adesso si giunge a Shinjuku suwan (2015) che francamente è un titolo indifendibile, con ogni probabilità uno dei peggiori di Sono, il che è un problema poiché quest’ultima frase si sta affacciando un po’ troppo spesso alla fine delle visioni sononiane. Però è così: il film sotto esame, tratto da un manga inedito in Italia, raccoglie il peggio delle due pellicole a lui precedenti evitando qualsiasi azione in grado di distinguersi un minino dalla pletora di Yakuza-movie che la realtà nipponica offre, e all’assenza di guizzi rimarchevoli si unisce un aspetto ancora più preoccupante: Shinjuku Swan non sembra nemmeno più un film di Sono, tale amara constatazione è un triste dato di fatto emergente da una proiezione che pur eccedendo in sangue e violenza non possiede nemmeno un millesimo della brutalità di un Cold Fish (2012) a caso.

La mancanza di quel tipico agire esuberante di Sono che uccideva la logica e rendeva accettabile ogni im-possibile passaggio delle sue storie, in Shinjuku Swan fa sì che al contrario si aggrottino le sopracciglia fin dai primissimi minuti assistendo ad un reclutamento “lavorativo” che potrebbe risiedere al massimo sulle pagine di Topolino, ed è proprio il concentrarci sulla trama che non va bene, tutta la diatriba fra le due fazioni di delinquenti è di una pallosità ammorbante perché davvero inconcludente e frivola in quanto non porta a nulla se non a delle scazzottate inguardabili (l’unico momento leggermente più cattivo è quello sulla pista da bowling). Se un tempo Sono riusciva a tratteggiare delle persone per mezzo del suo registro eccessivo, adesso sullo schermo ci sono dei personaggini che recitano in modo fastidioso e schematizzato (se prendiamo tutti e tre i film sopramenzionati i malavitosi che li popolano sono spiaccicati gli uni agli altri), e dire che poteva esserci del potenziale umano visto che ci si occupa di prostituzione, ma le donne in Shinjuku Swan sono mere pedine bidimensionali in una narrazione che si incaponisce nelle fiacche scaramucce per la spartizione del territorio o in faccende soporifere di droga e affini. Debolissimi inoltre i tentativi di innervare il racconto principale con due eccedenti sottosezioni, passi il collegamento col passato che riguarda Tatsuhiko ed il villain, la parentesi sentimental-fiabesca invece non funziona affatto.

Il Sono che più si preferisce nel campo dei film a tema mafioso resta l’imperfetto Bad Film (2012), sgraziato e lungo quanto si vuole ma dotato di un’energia che Shinjuku Swan si sogna, e tanto per essere stucchevoli, se nel commento di Tokyo Tribe mi stupivo della super prolificità del regista e del suo sestetto nel 2015, ecco che i risultati di una iper-produttività del genere vengono impietosamente a galla, e ovviamente quando si prende una brutta china non è facile ritornare sulla retta via, per la serie le brutte notizie non vengono mai da sole, ecco l’aggravante: Shinjuku Swan II (2017).

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