lunedì 6 novembre 2017

Marquis

Di tutte le variazioni sul tema de Sade proposte dal cinema nel corso della sua storia, è probabile che Marquis (1989) si ritagli una posizione di rilievo per il suo grado di originalità e di irriverenza sbruffona, elementi che sommariamente sono molto accostabili con il pensiero del personaggio che si vuole andare a ritrarre. Indubbiamente già in partenza ci sono buone premesse poiché l’idea nacque dalla fervida mente di Roland Topor, grande illustratore francese “padre” de Il pianeta selvaggio (1973) nonché attore per Herzog nel suo Nosferatu (1979), che venne poi messa in pratica dal regista belga Henri Xhonneux (deceduto nel ’95) con una professionalità a cui non si può biasimare niente. Ciò che rende Marquis un titolo peculiare è la scelta (voluta da Topor) di animalizzare gli esseri umani tanto che ogni personaggio ha la testa ed anche altre parti del corpo di una bestia (una mucca, un topo, un cane), qui si crea il valore dell’opera poiché nonostante siano passati quasi trent’anni la resa estetica di questi animaluomini, realizzati grazie all’animatronica, non appare né datata né ridicola. Ovvio che oggi, con una CGI che ha il monopolio del fantastico nel cinema, i canoni estetici sono stati irrimediabilmente modificati, tuttavia all’artigianalità e alla bizzarria visiva della coppia Topor-Xhonneux alzo un grande pollice perché oltre ad una valida restituzione dei soggetti in scena si aggiungono dettagli e finezze che impreziosiscono il film, particolari che denotano una mirata cura formale (guardate il giornalista olandese e come fa a respirare).

L’affrontare il tema di una sessualità perversa come è di costume per il celeberrimo Marchese viene portata avanti con gusto, weird, sia chiaro, che sempre gusto è: già c’è una trovata che fa sbellicare come quella del pene parlante la quale oltre ad essere divertente per via delle sue fattezze e delle situazioni che gli vengono costruite attorno è funzionale dal punto di vista narrativo visto che permette al protagonista di avere un partner all’interno della cella con cui dialogare mantenendo una continua frizzantezza del racconto. In più, e ora arriviamo al nocciolo, vi è anche lo spazio per una sorta di rovesciamento delle aspettative spettatoriali, infatti del micro-mondo che ci viene incontro l’unico a mantenere un certo autocontrollo è proprio l’esimio Marchese mentre intorno a lui è un continuo fornicare. A tal proposito Xhonneux e Topor costruiscono una rete di erotismo deviato con un intreccio quasi soapoperistico legato ad una misteriosa paternità (la quale darà i natali a…) che poi va a combaciare in un qualche sghembo modo con un fatto Storico come la presa della Bastiglia, ma l’evidenza della trama può a mio modo di vedere essere messa da parte, è meglio prendere atto di questo profilo “diverso” del signor de Sade e focalizzarsi sulla patina per gustare quelle minuzie che fanno di Marquis un cinema d’evasione che mi piacerebbe vedere più spesso.

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