Di tutte le variazioni
sul tema de Sade proposte dal cinema nel corso della sua storia, è
probabile che Marquis (1989) si ritagli una posizione di
rilievo per il suo grado di originalità e di irriverenza sbruffona,
elementi che sommariamente sono molto accostabili con il pensiero del
personaggio che si vuole andare a ritrarre. Indubbiamente già in
partenza ci sono buone premesse poiché l’idea nacque dalla fervida
mente di Roland Topor, grande illustratore francese “padre” de Il pianeta selvaggio (1973) nonché attore per Herzog nel suo
Nosferatu (1979), che venne poi messa in pratica dal regista
belga Henri Xhonneux (deceduto nel ’95) con una professionalità a
cui non si può biasimare niente. Ciò che rende Marquis un
titolo peculiare è la scelta (voluta da Topor) di animalizzare gli
esseri umani tanto che ogni personaggio ha la testa ed anche altre
parti del corpo di una bestia (una mucca, un topo, un cane), qui si
crea il valore dell’opera poiché nonostante siano passati quasi
trent’anni la resa estetica di questi animaluomini, realizzati
grazie all’animatronica, non appare né datata né ridicola. Ovvio
che oggi, con una CGI che ha il monopolio del fantastico nel cinema,
i canoni estetici sono stati irrimediabilmente modificati, tuttavia
all’artigianalità e alla bizzarria visiva della coppia Topor-Xhonneux alzo un grande pollice perché oltre ad una valida restituzione
dei soggetti in scena si aggiungono dettagli e finezze che
impreziosiscono il film, particolari che denotano una mirata cura
formale (guardate il giornalista olandese e come fa a respirare).
L’affrontare il tema di
una sessualità perversa come è di costume per il celeberrimo
Marchese viene portata avanti con gusto, weird, sia chiaro, che
sempre gusto è: già c’è una trovata che fa sbellicare come
quella del pene parlante la quale oltre ad essere divertente per via
delle sue fattezze e delle situazioni che gli vengono costruite
attorno è funzionale dal punto di vista narrativo visto che permette
al protagonista di avere un partner all’interno della cella con cui
dialogare mantenendo una continua frizzantezza del racconto. In più,
e ora arriviamo al nocciolo, vi è anche lo spazio per una sorta di
rovesciamento delle aspettative spettatoriali, infatti del
micro-mondo che ci viene incontro l’unico a mantenere un certo autocontrollo è proprio l’esimio Marchese mentre intorno a lui
è un continuo fornicare. A tal proposito Xhonneux e Topor
costruiscono una rete di erotismo deviato con un intreccio quasi
soapoperistico legato ad una misteriosa paternità (la quale darà i
natali a…) che poi va a combaciare in un qualche sghembo modo con
un fatto Storico come la presa della Bastiglia, ma l’evidenza della
trama può a mio modo di vedere essere messa da parte, è meglio
prendere atto di questo profilo “diverso” del signor de Sade e
focalizzarsi sulla patina per gustare quelle minuzie che fanno di
Marquis un cinema d’evasione che mi piacerebbe vedere più
spesso.
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