giovedì 12 ottobre 2017

Bitter Lake

Un pezzo di Burial ci porta dentro Bitter Lake (2015), nella sua essenza frattale e magmatica che trova una perfetta fusione con l’ipnotica litania del misterioso producer britannico. Ad Adam Curtis, giornalista con alle spalle parecchi lavori televisivi, ciò che preme di più è affondare il colpo sulla politica occidentale che ha trovato nell’Afghanistan una specie di nazione-laboratorio dove americani e russi, per motivi e ragioni diverse, hanno tentato di esercitare un proprio potere ricevendo in cambio soltanto delle violentissime ritorsioni. La ricerca di Curtis è sicuramente ammirabile e soprattutto esplicativa per coloro i quali (e il sottoscritto ne fa parte) identificano questo Paese polveroso posizionato da qualche parte in mezzo al continente asiatico con Osama bin Laden e gli attentati dell’11 settembre, in realtà c’è tutta una storia dietro che d’altronde è Storia e che Curtis ci fa il piacere di narrarci con una linearità che arriva a bersaglio. Ciò è sicuramente un pregio del film perché con una vicenda così complessa che parte da un incontro tra Roosvelt e il Re dell’Arabia Saudita sul finire della seconda guerra mondiale presso il Lago Amaro, si arriva fino ai giorni nostri con la brutale jihad dell’ISIS in un percorso che attraversa le epoche e la geografia dove tutto, a sentire la proposta di Bitter Lake, appare collegato da un filo che intreccia denaro, potere, religione, fanatismo, faide tribali e così via. Da una tale notevolissima massa di informazioni il regista trova un metodo espositivo che, come detto, è in grado di raccontare la difficile situazione globale in modo chiaro e convincente, di sicuro, da oggi, chiunque voglia conoscere qualcosa di più sull’Afghanistan non potrà prescindere da un documentario come Bitter Lake.

La comprensibilità dei concetti avvicina il film a quella dimensione che l’ha accolto (fu diffuso online dalla BBC) e per la quale è stato pensato, quindi stiamo parlando di un prodotto più divulgativo che artistico sebbene, ed è obbligatorio rimarcarlo, Bitter Lake sia capace di scavalcare i paletti della tv, perché la sensazione che pian piano si diffonde è quella di trovarci al cospetto di un’opera che oltre ad una mera porzione cronachistica sa lavorare sottilmente anche più in profondità attraverso un montaggio che in taluni frangenti si fa sconnesso e quasi indipendente da ciò che la voce over afferma. Curtis pescando dallo sterminato archivio della BBC costruisce un flusso visivo che probabilmente suggestiona molto di più delle parole illustrative, nell’accostare scene sì pertinenti al tema ma lontane tra loro (anche temporalmente visto che rimbalziamo spesso da un periodo all’altro) si rafforza un senso di visione che sottende un’autorialità da non disdegnare, certo non c’è Cinema qui, ma l’oscillare tra immagini brutali come quelle dell’attentato in presa ultra-diretta a Karzai (credo fosse lui in macchina, non è spiegato), ad altre di repertorio che riguardano sia eventi del passato (la costruzione di alcune dighe da parte di ingegneri americani) che le più recenti attività militari (ad un certo punto sentiamo [ma non vediamo] alcuni soldati statunitensi esaltarsi per le loro gesta belliche), sfaccettano un film che ben si incunea nella sporcizia della guerra preceduta da una cosa ancora più sporca e subdola come la politica internazionale. Quanto detto è reso in maniera “interessante”, si evince nonostante la frammentarietà costituente una discreta solidità di base, e fra le varie istantanee una che rimane in mente è la lezione di arte moderna ad un gruppo di giovani afghane, il loro sguardo incredulo nel vedere l’orinatoio duchampiano su una diapositiva è indubbiamente più attonito rispetto a quello rivolto alle truppe portatrici di democrazia (?), per smuovere le coscienze sono sempre meglio le arti che le armi, peccato che gli esseri umani non l’abbiano mai capito…

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