venerdì 25 agosto 2017

Blind

Il dramma sentimentale filtrato da un’atmosfera scandinava che ha perfetta impersonificazione nei lineamenti elfici di Ellen Dorrit Petersen, si coniuga all’inventiva del debuttante Eskil Vogt già stretto collaboratore di Joachim Trier per il quale ha firmato le sceneggiature di Reprise (2006) e di Oslo, August 31st (2011). Aria algida sì, ma anche tentativo di movimentare la faccenda, dunque: l’obiettivo di Vogt era quello per nulla semplice di farci vivere in prima persona i pensieri di una donna cieca, detto brutalmente ritengo che Vogt su questo piano non abbia soddisfatto in pieno le previsioni, Blind (2014) è un cinema che non prova nemmeno la strada del sensoriale, azione invece auspicabile visto l’argomento affrontato, per, al contrario, tentare di stimolare i sensi attraverso la scrittura e la correlata costruzione fittizia. Non si riesce ad accedere in una soggettività, non vestiamo i panni di Ingrid, ne rimaniamo fuori, lucidi testimoni di una storia che si intreccia al di là di noi, che è romanzo, che è teatro, ed è un peccato perché se Vogt fosse riuscito a dare un taglio maggiormente affrancato dalla penna che per mestiere stringe in mano, Blind avrebbe potuto svilupparsi in una direzione molto più destabilizzante.

Di sicuro è però un film che non annoia, una volta compreso il meccanismo e superato l’iniziale disordine narrativo, l’esibizione dell’insediamento nella mente della protagonista è costellata di apprezzabili trovate che mantengono in vita l’opera (quella del set cangiante che si ripresenta più volte merita un plauso e rappresenta l’intuizione migliore in rapporto alla manovra di penetrazione celebrale). L’offerta di Vogt in relazione alle elucubrazioni di una non vedente autoreclusasi nella propria abitazione innerva in modo originale le “solite” questioni annesse ai problemi relazionali; l’esposizione delle ossessioni nascoste nella mente umida della donna creano un registro che col passare dei minuti si fa sempre più ludico arrivando a sconfinare nella commedia (le donne al party immaginate insieme al marito), ne deriva che sebbene lo spettatore non è in grado di esperire davvero la visione, perlomeno viene continuamente gabbato, ed una tale tendenza all’inganno non può che essere vista benevolmente perché lo scambio mentale dei ruoli, l’avvicendarsi delle pedine da parte della burattinaia Ingrid, il dispiegamento delle sue turbe che alla fine rivelano lo stato di apatia in cui essa stessa versa, sono tutti elementi che trattengono, parlo di quella spinta che porta a chiedersi che cosa potrà accadere da una sequenza all’altra.

Impreziosito dall’occhio chirurgico di Thimios Bakatakis, il direttore di fotografia che sta dietro alla new wave greca, Blind è un film che afferma una nuova nicchia autoriale proveniente dalla Norvegia e che ha Joachim Trier come portabandiera, probabilmente di grandi capolavori non ne vedremo mai, resta la consapevolezza, almeno, che avvicinandoci a questo cinema potremo trovare una più che accettabile qualità di fondo.

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