mercoledì 18 gennaio 2017

Erdő

Corsetta nel bosco con delitto.

Anonimo cortometraggio ungherese che nel 2011 concorse addirittura per l’Orso d’Oro di categoria a Berlino, competizione che fu poi vinta da Park Chan-wook con Paranmanjang (2011). Anonimo perché Erdő, scritto e diretto da György Mór Kárpáti che tre anni dopo porterà a Cannes Provincia (2014), altro lavoro dall’ambientazione agreste, si mimetizza docilmente in una banale finestra di stampo mistery dove mai come in questo caso si comprende il disegno del regista: tranciare ogni nesso tramico per far affiorare qualche indizio, sbirciare, supporre. Messo così l’impianto non sarebbe neanche male, d’altronde sono un fervente sostenitore di una sovversione di quei canoni narrativi che metastatizzano gran parte del cinema che ci accerchia, e quindi merito a Kárpáti per il tentativo, le lodi però si arrestano subito: cioè, troppa l’orizzontalità dentro Erdő, una piccola grande noia vela questa manciata di minuti. L’eventuale potere suggestionante, ovvero ciò che il regista avrebbe voluto porre nel nucleo filmico poiché egli stesso incontrando un tizio in un bosco ebbe la sensazione di trovarsi al cospetto di un assassino, non agisce minimamente sullo spettatore restando un flebile proposito. Non emerge l’introiezione della morte da parte del ragazzo, né la si avverte oltre lo schermo.

Nella sua breve parte centrale Erdő si occupa di riprendere uno strano gioco condotto da un gruppo di ragazzi i quali, dopo essersi appiccicati sulla fronte un foglio con un numero scritto sopra, scappano in un bosco braccati non si sa bene da cosa. A fine visione ho pensato per un attimo che Kárpáti fosse stato meno scontato di quanto mi era sembrato in prima battuta, con un’interpretazione ardita è parso quasi che i giovani numerati raggruppati in una sorta di comune potessero rappresentare un campo di concentramento segnato dalle uccisioni dei propri compagni, ma tale visione regge ben poco anche perché non pare che il killer faccia parte della comitiva così come la sua vittima, e quindi non si può che fare ritorno all’idea manchevole di un omicidio occasionale senza alcuna astrazione e di un’esile rappresentazione delle conseguenze emotive riguardanti il testimone oculare.

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