giovedì 21 luglio 2016

Sueño y silencio

Per Jaime Rosales, barcellonese classe ’70, l’assimilazione del lutto può prendere strade divergenti all’interno di uno stesso nucleo famigliare. Lo studio sull’umano flagellato dal dramma composto in Sueño y silencio (2012) agisce per mezzo di un approccio minimalista, e quando la sottrazione si applica nel campo della tragedia abbiamo una forte antitesi: la figlia maggiore muore in un incidente eppure niente si ostenta, né il fatto, mostrato indirettamente dalla sedia vuota in cucina, né il lacrimevole dolore carpito al massimo da molto lontano con un campo lungo che riprende la tumulazione. È in siffatti termini che il film di Rosales, presentato a Cannes ’12, si avvicina allo smarrimento della perdita consanguinea e, come detto all’inizio, lo fa contrapponendo i due genitori che vivono la disgrazia in maniera opposta; qui la pellicola ravviva la brace che la tiene accesa poiché nel meccanismo di rimozione totale del padre si può vedere uno scudo che forse cela un latente senso di colpa, ciò rende ancora più fragile e sola la figura della madre (attrice non professionista al pari di tutto il resto del cast) combattuta dal rimorso e da una sorta di rabbia verso la persona con cui dovrebbe condividere il macigno dei ricordi il quale invece prosegue la sua vita come se niente fosse successo. Rosales è abile nel restituirci la densità dei sentimenti generati dall’atroce fatalità avvalendosi di una naturalezza e di una semplicità ammirevoli, infatti è da conversazioni per nulla impostate (leggi: recitate) e piccoli dettagli (l’improvvisa colorazione del nonno sul luogo della sciagura: è l’accettazione della morte?) che apprendiamo gli elementi indispensabili alla comprensione.

Il regista non si ferma alla constatazione ma instilla forse anche i prodromi per un superamento/accettazione sempre con un metodo che omette, che cela, che va a situarsi in un ipotetico fuori campo: quello della nostra immaginazione. Il luogo della “rinascita” parrebbe localizzarsi in un grande parco dove il film apre una breccia nella sottile membrana del reale per affacciarsi sull’impossibile e divenire teatro di apparizioni extraterrene, spirito in un consesso di persone e bambini urlanti, questa deviazione dell’opera, pressoché impercettibile poiché appena appena disallineata dal mood generale, sembra essere davvero la chiave di volta poiché anche il marito confesserà alla moglie che nel parco è successo qualcosa di folle, e che cosa, ovviamente, Rosales si mostra bene dal farlo vedere, e a noi va bene così. L’insistenza su uno sfondamento dimensionale, che poi potrebbe essere soltanto mentale, lasciando perciò un piacevole e fertilizzante dubbio, trova definitiva conferma nel prolungato piano sequenza conclusivo generato da una mdp che viaggia a mezz’aria tra il brulicare della gente e che conclude la sua traiettoria su una scena tanto idilliaca quanto improbabile.

Lo stile che mi permetto di definire coerente garantisce alla pellicola un avvicinamento non scontato ad un tema così luttuoso, in più la proiezione usufruendo di intelligenti ellissi unite ad aperture verso l’irreale si rende inconsueta e sospesa come se a tratti fosse davvero un sogno.

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