martedì 19 aprile 2016

Catedral

Dal 1961 Justo Gallego Martínez, ex monaco spagnolo, sta costruendo con le proprie mani, mattone dopo mattone, vetrata dopo vetrata, una cattedrale presso Mejorada del Campo, comune non distante da Madrid. Justo, classe 1925, non ha mai avuto alcuna formazione ingegneristica (pare che non abbia avuto alcuna formazione tout court), e il suo folle(ttiano) progetto non ha altra base su cui posarsi che non sia la fede smisurata verso Dio. Alessio Rigo de Righi e Aliocha Allard si cimentano in questo documentario breve dal sapore molto herzoghiano (e in mano ad un professionista Catedral [2009] chissà cosa sarebbe potuto essere: inevitabilmente dell’altro, nel bene e ne male), film centrato sull’uomo e sulla sua enorme ambizione pari, se non maggiore, al voler trasportare una nave sopra un monte o al voler convivere con degli orsi selvatici. È una pazzia ammirevole quella che filtra dalla tenacia di Justo Gallego e a mio avviso è utile sfrondarla da tutte le implicazioni religiose: non mi pare fondamentale considerare l’edificazione della chiesa un sintomo di totale devozione nei confronti del proprio credo, una visione più laica spinge il sottoscritto a meravigliarsi al cospetto di una perseveranza, di un impegno, di un sacrificio squisitamente terreno.

Casualmente, nello stesso anno di questo Catedral, un regista di nome James Morgan si è a sua volta introdotto nella faticosa esistenza di Gallego realizzando il corto El loco de la Catedral. Confrontando i due lavori, per forza di cose molto simili, si può notare un diverso approccio normativo; Rigo de Righi e Aliocha optano per una prassi meditativa dove alle suggestive immagini della cattedrale vengono alternate le elucubrazioni di Justo che non riguardano direttamente l’innalzamento dell'edificio bensì il suo pensiero sulla vita, la fede, il mondo, ecc. Morgan invece veste i panni del diligente documentarista e snocciolate varie informazioni si mette ad intervistare anche le persone che ruotano intorno a Justo scoprendo un Personaggio come il cognato o venendo a conoscenza delle confidenze fatte dalle comari che giocano a carte. A Catedral manca un po’ una sana e semplice porzione divulgativa, soprattutto perché la vicenda sotto esame è talmente [usate l’aggettivo che più vi aggrada] che si vorrebbe entrare in possesso del maggior numero di delucidazioni possibile (partendo dalla più stupida: come accidenti ha fatto ad erigere il tetto?), una tale assenza di sottolineature è medicata dalla fascinazione visiva, ma l’impressione che la questione sia lontana dall’esser stata esaurita permane anche dopo i titoli di coda.

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