venerdì 11 dicembre 2015

Flutti

Mi chiedo spesso cosa sia questa forza delle cose, della loro emersione improvvisa, lacerante, sconsolante: dove eravamo stati insieme? Abbiamo lasciato le stesse orme, sui marciapiedi, le sagome nel medesimo letto, adesso vorrei solo che la pioggia sgorgasse dalla terra per ripulire questo cielo nero. Potremmo ancora parlare della vita senza renderci conto che della vita non si può parlare, tu, fluente e presente, manifesto di contraddizione e bellezza luminosa, ancora sempre tu, la nostalgia che chiama a voltarmi: c’è stato del dolore laggiù, la rabbia ha colmato i cuori, li ha stinti, rinsecchiti, il vomito di vocaboli, cosa hanno sentito le nostre orecchie? C’è ancora uno spazio, però, è dove il ricordo si perpetua all’infinito, è proprio lì che ancora si è qualcosa, è questa forza tremenda del passato che non retrocede mai: la luna gigante, il profumo-limone dello zenzero, il nido in una Firenze ibernata, voglio lasciarmi invadere come l’onda del mare invade l’estuario del fiume, e in questa zona agrodolce dolcemente stare, pesto e infelice, sgravato dall’oggi: lasciatemi qui, per sempre di fronte a quella lingua arancione adagiata sull’orizzonte.

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