venerdì 18 settembre 2015

Two Birds

Due giovanissime coppie, una di fatto l’altra in fieri, si recano ad una festicciola. Assumono della droga. Finisce male.

Abbandonati i magnifici scenari di Síðasti bærinn (2004), e infatti l’unico scorcio pseudo-naturalistico che verrà mostrato è il graffito di una montagna accarezzato dal protagonista, Rúnar Rúnarsson opta per un più visivamente prosaico appartamento urbano dove si appiccica stringendo più che può il quadro ai visi dei due uccellini. Niente respiro onnisciente di Madre Natura a rifinire ed ingemmare il film ma nuovamente l’illustrazione di una tragedia che, seppur non irreversibile come la morte, in quanto ad indelebilità è facile ritenere che non abbia pari. La questione fondamentale è che Smáfuglar nella sua prima parte, dove con poche battute ed un altrettanto esiguo numero di azioni è capace di tratteggiare una convincente timidezza/goffaggine situata nel ragazzino, non lascia intendere di come le cose possano tragicamente precipitare in un buco nero laddove è l’impotenza il sentimento che annichilisce e annichilerà presumibilmente a lungo la coscienza di un candido testimone, ma quando appunto le cose precipitano i primi ad essere impreparati di fronte ad un’ennesima violazione del Corpo e della Persona siamo noi, noi che in quattro e quattr’otto diventiamo complici di un segreto il cui odore posticcio sarà per sempre quello della vaselina, e nell’intimità senza ossigeno che si crea col finale, l’ultimo sguardo, quello rivolto direttamente in camera, implora con tutta la forza che ha un silenzio, il nostro, mentre le languide parole di Lei si propagano e riecheggiano nel vuoto umano che invisibilmente sta inghiottendo il loro abbraccio. E non solo quello.

(“sono orgogliosa che sia stato con te”)

(“sono orgogliosa che sia stato con te”)
  
(“sono orgogliosa che sia stato con te”)

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