mercoledì 17 aprile 2013

Womb

Il ritorno di Fliegauf al cinema narrativo dopo due film di ricerca come Milky Way (2007) e Csillogás (2008) spiazza. Se riprendiamo i lavori degli esordi (Rengeteg [2003] e Dealer [2004]) che erano sì di fiction ma avevano una natura radicale finanche innovativa e li rapportiamo a Womb (2010), si scoprirà seduta stante di come per quest’ultimo il regista ungherese abbia addomesticato lo stile in nome di una potabilità per il pubblico più vasto (la recitazione in inglese è un segnale eloquente), e infatti il film si è dimostrato così accessibile che perfino la distribuzione italiana (con due anni di ritardo) lo ha portato nelle nostre sale.
Appurato dunque un cambio di rotta che per il sottoscritto non è esattamente il migliore dei biglietti da visita, è doveroso riconoscere a Fliegauf la capacità di non trattare la banalità, di essere a suo modo provocatore e di non aver timori reverenziali verso il tabù per eccellenza. La sua storia galleggia in un limbo di orizzontalità dove il mare e la spiaggia si fondono in un unico, sconfinato, panorama (si tratta della località balneare tedesca Sankt Peter-Ording); in questa atmosfera di accogliente eternità Fliegauf crea una bolla temporale dove passato e presente coesistono, si amalgamano, diventano un tutt’uno come l’ambiente gestazionale che li contiene. Fliegauf permette la compresenza di ciò che era e ciò che è attingendo per la prima volta all’enciclopedia della fantascienza che “gli regala” l’escamotage della clonazione per centrare gli obiettivi preposti, obiettivi che dribblano le montagne dell’eticità (c’è qualche rapido accenno) per rivelare alla fin fine il proprio nucleo sentimentale.

L’idea di Fliegauf è lodevole e capace di generare dei cortocircuiti concettuali che trovano catarsi in dettagli sfuggenti: Rebecca incinta che si reca alla tomba di Thomas, la presenza sulla battigia di due pesci simil-preistorici, il dinosauro giocattolo sotterrato e poi recuperato dalla madre, piccole riprove che testimoniano l’ubriacante compenetrazione del prima nell’ora, particelle di una materia aerea racchiusa in un grembo che tutto contiene, maternità ciclica e perenne.
Qui arriva l’inevitabile Però figlio dell’ammaestramento di Fliegauf che dal momento in cui Thomas giunge alla stessa età dell’originale non riesce a proporre come probabilmente vorrebbe il rapporto conflittuale che vive Rebecca divisa tra l’essere madre e l’essere amante. L’introduzione della ragazzetta genera delle rigidità figlie di un cinema mansueto obbligato a raccontare tutto, ed anche se la finezza registica non viene mai a mancare ci sono precise situazioni che scemano di genuinità e dunque l’artifizio (Rebecca che si era insinuata nel letto del figlio e che una volta sotto le coperte assiste agli amoreggiamenti della coppia senza che Thomas [consapevole che la madre era lì nella stanza] si sottragga immediatamente alle avances della fidanzata) e la letteralità (Rebecca che sente i giovini accoppiarsi nella stanza adiacente) pesano sull’autenticità del filo amoroso che come abbiamo detto ha un ruolo base all’interno del film.

Il finale non migliora l’andazzo perché macchiato da una sbrigatività eccessiva. La scoperta della reale identità da parte di Thomas avviene dopo un’ora e trentacinque minuti di proiezione, l’amplesso incestuoso dopo un’ora e quaranta minuti. Difficile credere che in appena trecento secondi l’uomo Thomas, figlio fino a due battiti di ciglia prima, si abbandoni alla carne di Rebecca la quale è passibile di un ragionamento molto simile. Non si chiede la verosimiglianza ad un film a cui non interessa l’attendibilità, ma almeno una coerenza logica che dia tridimensionalità ai personaggi invece di proporli come figurine sottomesse ai meccanismi filmici. Se queste osservazioni suonano ammantate di una fastidiosa pignoleria il primo a rammaricarsene è il sottoscritto, sono scaturite dalla visione e amplificate dal nome del regista, prendeteli così: appunti di pancia.

4 commenti:

  1. prima parte intrigante, poi si sprofonda nella noia e il finale oltre che inverosimile è abbastanza ridicolo.
    classica occasione sprecata...

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  2. Sai già che su Fliegauf la penso come te. A questo punto resta solamente l'interrogativo sull'ultimo suo lavoro (Just the Wind), aspettando di vedere se Womb possa essere una parentesi, o in caso deludente, una conferma.

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  3. Parentesi per me. Just the Wind l'ho apprezzato.

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