venerdì 26 marzo 2010

Lucía y el sexo

Un buco.
Che non è l’inizio del film né la sua fine, ma l’escamotage narrativo che rinchiude la pellicola di Medem in una ruota (a)temporale di storie dentro ad altre storie costruite addosso a personaggi trasferibili, intercambiabili, moltiplicabili.
Di buchi logici, allora, ce ne saranno eccome e sospendere l’incredulità sarà un’azione consigliata ma al contempo facoltativa. Se si è in cerca di un realismo tangibile, di un’attinenza alla realtà, ne consegue che Lucía y el sexo (2001) non sarà mai il film che fa per voi.
Capisco le critiche piovute sul regista. D’altronde la messa in scena è talmente articolata e montata ad arte per cui la comprensione dei vari piani di lettura si fa così complicata che è più sbrigativo tacciare Medem di manierismo eccessivo piuttosto che calarsi in questo meandro di sentimenti.

Tuttavia, a dispetto di una costruzione artificiosa, il film ha un’indecifrabile forza che si avverte sorprendentemente sincera dove perfino le scene di nudo, quasi sempre specchietto per le allodole, si amalgamano in maniera naturale nella non-trama che sarà anche esasperata, sconnessa e pretenziosa ma che nel suo atto di spiegarsi ingarbugliandosi è terribilmente conturbante.
C’è però un’altra forza altrettanto impenetrabile che spiega le sue ali. Come ne Gli amanti del Circolo Polare (1998) tutto, e ripeto tutto, il film è attraversato da un tale continuo rincorrersi di epifanie che: o Medem vi risulterà pedante o vi manderà in brodo di giuggiole come il sottoscritto. Tutti i costanti richiami che evocano e rievocano a sé altre situazioni lasciano una piacevole sensazione di déjà vu come vero valore aggiunto dell’opera.
La fiaba cinematografica così creata, e una favola lo è per davvero vista dall’angolatura padre-figlia Lorenzo-Luna, rappresenta l’odissea dello spazio e del tempo dove piccoli amanti corrono intorno a una breccia (vagina) o a un faro (fallo) nel desiderio spesso umiliato di un paradiso terrestre impossibile: l’isola. Una Formentera disancorata, in balia del mare, genesi e apocalisse di tutto, lì sotto il chiaro di luna inizia, lì sotto il sole digitalizzato finisce. O meglio, la storia si getta in un buco ritornando a metà per continuare a raccontarsi in loop.

Paz Vega è un raggio di sole (oh-oh), l’ultimo desiderio prima di morire.
E Julio Medem anche se non sarà il primo né l’ultimo a dirci queste cose, l’importante è che ce le dica così.

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