venerdì 25 settembre 2009

Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Wow che grande film! E pensare che dal titolo mi aspettavo il solito giallo italiano con tanto di assassino guantato e J&B in bella mostra. Invece siamo completamente in un altro campo.
Inquadrare Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto come un semplice poliziesco è riduttivo perché la pellicola messa in piedi da Elio Petri (1929 – 1982) è una spietata quanto acuta riflessione sul peso che il potere ha nelle mani di chi lo esercita e di chi lo subisce.

Il film, provocatorio dal primo all’ultimo minuto, si muove su un paradosso: cosa accade se chi dovrebbe garantire la legge è il primo ad infrangerla? Accade che tutto il sistema si chiude a riccio ed è pronto a insabbiare il caso piuttosto che subire lo smacco di un ispettore di polizia con inclinazioni omicide. E infatti l’ispettore, interpretato da un titanico Gian Maria Volonté, dice durante un interrogatorio che tutta la stazione è come se fosse una tomba: da lì non esce vivo nessuno perché nessuno è vivo, nemmeno quel principio costitutivo che risponde al nome di giustizia.
La giustizia è la prima grande assente di questa pellicola. Sebbene il titolo indichi che l’ispettore è un cittadino su cui è illegittimo sospettare, fra le righe si comprende di come Volonté sia più che altro al di sopra della legge, o, per citare Kafka nel finale: “… Quindi appartiene alla legge e sfugge al giudizio umano.” Più volte nel corso del film i colleghi dell’ispettore ed anche semplici cittadini pur avendo fra le mani prove concrete della sua colpevolezza – addirittura un povero idraulico lo vede in faccia vestito da borghese per poi disconoscerlo in vesti ufficiali – rifiutano a prescindere un possibile coinvolgimento nel delitto di Augusta Terzi. Questo perché c’è una sorta di fiducia incondizionata nei confronti delle forze dell’ordine, ma la Storia ricorda che spesso il potere annebbia la mente e scalda le mani di chi lo detiene. Per cui il “tradimento” di un uomo della legge lede prima di tutto l’uomo in quanto cittadino, e soprattutto l’uomo in quanto uomo.
L’umanità è la seconda grande assente del film. Non esiste nell’autoritario ispettore che guarda tutti dall’alto verso il basso, compresa la sua amante con la quale ha un rapporto morboso spoglio di una qualsivoglia forma d’amore, e quindi poco umano.

Ma mi pare doveroso spendere due parole sul personaggio di Volonté. In quanto a cattiveria, follia e freddezza non ha niente da invidiare ai quattro signorotti di Salò (1975). Tra l’altro il suo nome non viene mai rivelato, restando anonimo sembra non essere identificabile, né dalla legge né dallo spettatore. Anche i superiori sono una macchia indistinguibile: vestiti di nero si muovono in massa, un gregge di pecore nere che esplicita bene concetti come controllo, dominazione e repressione.
O almeno queste erano le fastidiose sensazioni che mi trasmettevano vedendoli agitarsi in gruppo, incrementate, tra l’altro, da alcuni primissimi piani che enfatizzano le espressioni degli attori tutti bravissimi. A parte Volonté, lui è fenomenale. Ah, c’è pure Florinda Bolkan (Non si sevizia un paperino, 1972), ma escludendo il fatto che gira senza biancheria intima la sua presenza non è degna di nota.

Assolutamente consigliato questo classico italiano che nel ’71 si è portato a casa l’Oscar come miglior film straniero, un riconoscimento che giusto per ricordare è stato vinto solo da gente come Fellini o De Sica.

3 commenti:

  1. bè..siamo nel classico dei film di denuncia italiani degli anni 70..d'altronde petri era regista estremamente politicizzato e militante..davvero grande film,uno dei suoi migliori..

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  2. Eh, ma io non ne avevo mai sentito parlare. Per chi come me non c'era a quel tempo temo che non l'avrà mai udito nominare...

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  3. certo hai ragione..sempre suoi la classe operaia va in paradiso me lo ricordo come un bel film..era il cinema militante,che aveva comunuqe in belloccchio la massima espressione

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