domenica 20 settembre 2009

Grizzly Man

Mentre Herzog è in questi giorni nelle sale italiane col suo ultimo lavoro: Il cattivo tenente (2009), io mi godo questo meraviglioso documentario che segna l’inizio della collaborazione fra il regista bavarese e Discovery Channel, e che soprattutto è un esempio più unico che raro di docu-drama in cui la componente drammatica supera quella divulgativa, tale oltrepassamento rende Grizzly Man un film che se definisco lacerante non credo di esagerare.
Lacerante perché quasi commuove l’amore che Treadwell riversa su questi esseri mastodontici che come lo stesso Herzog è riuscito a cogliere, ricambiano l’affetto con indifferenza, non per cattiveria ma perché sono degli animali.
Timothy è il più romantico fra tutti gli eroi solitari di Herzog, e se possibile anche il più solo. Non perché amava passare le estati a stretto contatto con i grizzly, ma perché in mezzo agli umani avvertiva una malinconica solitudine. Anche l’amica lo definisce “un ragazzo problematico”, e i genitori raccontano di un passato fatto di droga e alcol; eppure a fronte di questi comportamenti deprecabili viveva in lui un tale slancio verso l’amore e la libertà che aveva del contagioso a sentire le varie testimonianze. Herzog non lo dice esplicitamente, ma fa capire che in alcune espressioni Treadwell assomigliava al compianto nemico Kinski, per la stessa ira passionale, per il voler resistere ad ogni costo cercando di dimenticare d’essere così solo.
Un po’ come il bandito Francisco Manoel Garcia Da Silva in Cobra Verde (1987) che soffriva di solitudine anche in mezzo ad un esercito di schiavi e di figli. E curiosa coincidenza, Treadwell con Cobra Verde ha in comune lo stesso destino: quello di morire. L’uomo-grizzly è profeta della sua morte, ma d’altronde era inevitabile: una volta entrato nel “labirinto dei grizzly” per ritrovare se stesso non si è accorto di aver smarrito il filo d’Arianna. Perso nel dedalo si è illuso d’essere egli stesso un Minotauro.

Non mancano anche questa volta brevi inserti di fiction studiati a tavolino che enfatizzano la scena; non ne ho la certezza ma la sequenza in cui il coroner consegna l’orologio all’ex moglie parrebbe proprio una costruzione ad arte. Herzog è anche questo.
Il tutto viene trasmesso equamente, senza santificazioni di qualche tipo, anzi, Herzog, che fa da voce narrante, sembra intavolare con Tim un ipotetico dialogo dove esprime il suo punto di vista. E fedele al suo pensiero il maestro tedesco ribadisce che “la natura è caos e disordine” (pronunciò la stessa identica frase nel lontano 1982 davanti alla cinepresa di Les Blank in Burden of dreams), a differenza di Treadwell che credeva ciecamente nell’armonia della natura. Sbagliava. Trasportato com’era dalla sua esaltazione non aveva capito che gli uomini, pur essendo dei bastardi, hanno una cosa che gli orsi non hanno: il pensiero. E per questo errore è finito nella pancia di un orso.
Però lo ripeto, Treadwell fa quasi tenerezza nell’abnegazione che mette nel prendersi cura degli orsi. Chiunque legga delle sue gesta lo bollerà come uno squinternato, un pazzoide, un matto. Ma a vederlo in quelle valli si intuisce di quale mondo avesse nel cuore.
Nessuno saprà mai come lui e la sua compagna siano morti quella notte d’inizio Autunno, ma io voglio immaginarmelo ancora libero, in quelle terre selvagge dove le montagne infilzano il blu del cielo, con appresso la sua fedele volpe.

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