martedì 18 agosto 2009

JCVD - Nessuna giustizia

Bello!
Sorpresa lieta ed inaspettata per un attore che conosco poco ma che si è cucito addosso la fama di duro anche per chi come me l’ha visto in pochissimi film.
Mabrouk El Mechri non fa un film con Van Damme, ma SU Van Damme, e forse anche PER.
Come l’attore belga ha sottolineato, JCVD è l’opera più importante della sua carriera, vero e proprio punto di svolta per un curriculum fatto di ruoli troppo simili tra loro di cui il buon Jean-Calude non vuole più sentir parlare: “ D’ora in poi farò solo film che mi soddisfano”, e infatti Sly ha dovuto incassare un secco no per quello che si preannuncia il film più tamarro degli ultimi dieci anni: The Expendables (2010).

In JCVD un Van Damme al verde si trova in Belgio, luogo giusto per un nuovo inizio, con l’avvocato da pagare per il processo di custodia della figlia. Trafelato, si reca in un ufficio postale per un pagamento, ma qui s’imbatte nel gruppetto di delinquenti che rapinano l’ufficio e prendono in ostaggio i clienti, usando Jean-Claude come specchietto per le allodole facendo credere alla polizia che sia lui il sequestratore.

Probabilmente questo lungometraggio sarà da mettere sempre in fondo alla filmografia di Van Damme perché rappresenta un po’ il suo testamento artistico. L’attore sembra voler dirci che dietro la maschera dell’eroe scolpito dai muscoli c’è anche un uomo fragile con le sue eterne paure, ma in questa debolezza reale l’eroe filmico pare essersi ritagliato un suo spazio che emerge nel finale quando riesce a ribellarsi dalla morsa del rapitore.
Quindi l’uomo-debole (realtà), e l’uomo-eroe (finzione). Qual è il vero Van Damme?
Come sempre la verità sta nel mezzo, e lo si evince dal toccante monologo di leeiana memoria (ma tutta la vicenda mi ha portato ai lavori di Spike Lee) in cui Van Damme si eleva dall’ufficio postale per mettersi a nudo di fronte alla mdp, in una sequenza che trascende i confini invalicabili della diegesi. In questo monologo l’attore si confessa dritto negli occhi dello spettatore raccontando la sua vita in cui ha conosciuto il dolore della povertà, le arti marziali, il successo e la droga. E lui è tutto questo, in bilico fra l’essere un padre “sbagliato” (finzione?), ed un karateka infallibile (realtà?).

Dolceamaro, JCVD, è davvero un buon film anche dal punto di vista della regia che nella prima parte utilizza un montaggio in grado di mostrare gli stessi eventi da vari punti di vista diversi dando così più ritmo alla storia. Poi vabbè, il fulcro di tutto è Van Damme, al pari di Randy “The ram” in The Wrestler (2008), questa è la sua storia, il suo film, la sua parabola.

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