venerdì 6 febbraio 2009

Se

Se il cielo avesse smesso di piangere io e Max saremmo ancora vivi a quest’ora, invece, quella notte, mentre la mia A4 divorava l’asfalto, Dio, o chi per esso, mise sulla nostra strada un angelo dalle piume infuocate, un metro e ottanta di forme sinuose sotto una cascata bionda lucente, toppino asfissiante, fazzoletto di velluto intorno alla vita e tacco vertiginoso.
Mentre ci avvicinavamo alla sua auto in panne ciò che sembrava quasi un miraggio divenne realtà: il nostro finestrino elettrico scese lentamente, una quinta abbondante straripò all’interno della macchina insieme alla puzza di gomma bruciata. Prima di scendere udii Max dire qualcosa del tipo: ”stasera si scopa”, io annuii distrattamente perché ero imbambolato dal corpo della bionda che sotto la pioggia battente sembrava assorbire i ritagli di stoffa che indossava.
La situazione si presentava così: gomma esplosa, cric e ruotino non pervenuti.
Un secondo dopo era in macchina con noi, ma prima di salire prese un borsone blu pesante come il piombo dal suo bagagliaio e lo mise nel nostro, poi ci accomodammo nell’auto tutti e tre, anzi quattro, ma ancora non lo sapevamo.

La pioggia continuava implacabile la sua caduta, la proposta della bionda di fermarci in un casolare abbandonato fu accolta da me e da Max come il primo premio della lotteria, così, esultando in silenzio, e con fare quasi distaccato, la aiutammo a tenersi in piedi sulla stradina infangata che portava alla porta arrugginita del casolare.

Se qualcuno mi avesse detto che il mondo stava per finire, beh, io sarei stato contento, perché in quel momento eravamo rapiti dalla sua pelle che nella penombra sembrava una statua perfetta, irraggiungibile, inviolabile. Invece era lì, a due passi da noi, tanto che riuscivamo a percepire il respiro bollente e le sue mani che abilmente sbottonavano i nostri jeans; indubbiamente il mondo sarebbe potuto terminare quando s’inginocchiò ai nostri piedi infilandosi in bocca ciò che penzolava dai nostri boxer.
Il mondo finì davvero, per noi, nell’istante in cui il ponte che collega il cervello con l’istinto si sgretola, il cuore spinge il sangue arterioso come una pompa petrolifera, ed il corpo è pervaso da eserciti di formiche brulicanti.
Guardai Max, fece sì con la testa mentre se lo scappellava.

Intanto, almeno presumo che sia andata così, l’uomo dentro al borsone blu apriva il bagagliaio e sgattaiolava fuori.

Se fossimo stati più prudenti quella notte, adesso non ci troveremmo sotto sei metri di terra umida in mezzo ai vermi, ma come si può resistere a quell’odore che sale dal centro delle sue gambe e inebria la mente facendo perdere il controllo? Non chiedetelo a me e a Max, perché quando entrò l’uomo del sacco ci stavamo fottendo quella puttana da circa mezz’ora.
Lui sbraitava agitando la pistola per aria neanche tirasse di scherma, come una gattina che vede il padrone la bionda si accoccolò ai suoi piedi, noi rimanemmo più o meno come un sandwich senza la svizzera fino a quando l’uomo del sacco non mi puntò la pistola alla tempia e intimò al mio amico di consegnargli le chiavi della macchina che erano nelle tasche dei miei jeans, se Max avesse fatto qualche mossa sbagliata io mi sarei ritrovato con un buco in testa in più e un po’ di materia celebrale in meno.
Adesso che ci penso, noi quattro, in quella casa, eravamo già tutti morti, solo che ancora non lo sapevamo.
L’uomo, che digrignava i denti ad ogni passo di Max verso i pantaloni ammucchiati in un angolo, impugnava la pistola come un bambino che gioca a fare il cow-boy, avevo sentito parlare di loro in giro, erano soltanto due mentecatti, così, quando vidi Max chinarsi sui pantaloni dissi:

“Questa notte avete fatto un grosso errore.”

Se non fossimo stati i due killer migliori sulla piazza a quel tempo, avremmo sicuramente finito i nostri giorni dentro quel casolare, invece la mia semiautomatica scarrellava tra le mani di Max vomitando pallottole che illuminavano la stanza ad intermittenza. L’uomo cadde su se stesso tra le lacrime della bionda che lo stringeva a sé. Così, ancora nudi, ci avvicinammo al tenero quadretto che si stava consumando sotto i nostri occhi, io scoppiai in una risata fragorosa, e mi venne l’idea di sparare un colpo tra le gambe della bionda. Sicuramente là sotto c’era sempre stato parecchio via vai, e complice la prestazione che ci aveva appena offerto, la canna della pistola scivolò dentro che fu un piacere. Non per lei, ovviamente.
Il proiettile si incastrò nell’intestino o da qualche altra parte perché non lo vidi uscire.
I topi, poi, avrebbero fatto il resto.

Qualche tempo dopo, in uno studio medico :

"L'incidenza di infezione con un solo rapporto a rischio è bassissima, purtroppo però dalle analisi siete risultati positivi al virus dell’HIV".

Dicono che la vita sia fatta di se.

Se quella notte non ci fossimo fermati, se avessimo avuto un cazzo di preservativo.
Se…
Se...

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