mercoledì 26 novembre 2008

Nero.

È impossibile inquadrare Nero. all’interno di una precisa categoria. E non poteva essere altrimenti visto che è stato partorito dalla mente di Tiziano Sclavi (sceneggiatore nel film) il quale scrisse un romanzo edito da Camunia nel 1992 con lo stesso titolo. Non conosco lo Sclavi romanziere, ma per fortuna conosco quello fumettista, e siccome credo che le due cose siano inscindibili, non mi sono stupito davanti ad alcune scene marcatamente surreali.

Come ho detto è difficile catalogare questo film, io mi sono rifugiato dietro a due etichette parecchio contestabili perché: primo non è un thriller, e secondo weird di per sé non è un genere.
Non è un giallo, non è una commedia, e non è un film drammatico, figuriamoci un horror. Nero. è un po’ di tutto questo avvolto da un filo, il filo del grottesco.
Guardandolo come un thriller l’intera struttura è molto traballante, un purista del genere storcerebbe il naso dalle forzature che si susseguono kafkianamente, ma l’intento degli autori non è stato quello di creare una storia a tinte gialle visto che le figure della vittima e dell’assassino sono abbastanza chiare sin da subito, piuttosto un’esplorazione profonda, ma sempre surreale, della vita di un uomo debole e paranoico interpretato dal convincente Castellitto. Intorno a lui si muovono personaggi caricaturali che, parer mio, sono consapevoli della propria nullità, ma si illudono, e voglio far illudere gli altri, di essere dei personaggi veri, e a farne le spese è lo stesso Castellitto che, rispetto agli altri, e in primis la sua donna (Chiara Caselli), sembra ancora un essere umano, a differenza dell’investigatore interpretato dall’ottimo Luis Molteni, che non ha scrupoli di nessun tipo e galleggia in un’ ambiguità destabilizzante.

Dopo la sua morte accompagnata dalle note di Fiordaliso, che è la scena più incisiva e meglio riuscita di tutto il film (simile alla lapidazione della Bolkan in Non si sevizia un paperino, 1972) dove emerge la genialità visionaria di Sclavi, il film prende un vicolo cieco e si accartoccia su stesso dilagando nel weird più sfrenato, detto per inciso: nel finale non ci ho capito un cazzo.
Però qualcosa trasmette: un po’ di inquietudine,un po’ di angoscia, ma soprattutto malinconia suscitata da queste situazioni così grottesche e surreali, ma pur sempre ambientate nella grigia provincia non troppo lontana dalla vita che, almeno io, vivo, fatte di routine e gesti ripetuti all’infinito come il disabile che piscia sulla ruota o la vecchia sempre in procinto di salire le scale. Argomento, questo, che è un po’ una costante nei lavori di Sclavi.

Non è un film limpido, anzi è piuttosto arzigogolato, ed oggettivamente non può essere definito “bello” (virgolette perché non mi piace per niente questo aggettivo riferito ad un film), però è curiosamente diverso, anche se comparato con film attuali.

Qualche curiosità: Hugo Pratt interpreta una particina nel film; la colonna sonora è molto variegata (anche troppo), si va dalla già citata Fiordaliso con Non voglio mica la luna, a Guccini che ha appositamente scritto per Nero. la bellissima Acque, passando per i Mau Mau che vantano una presenza sonora molto sostanziosa; verso la fine viene inquadrata una tavola di Dylan Dog, e subito dopo la Caselli dice a Castellitto che sembra diventato il personaggio di un fumetto.

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