giovedì 5 giugno 2008

Sette note in nero

Solido spaghetti-thriller diretto da Lucio Fulci. Se si può prendere come metro di giudizio l’importanza che un film italiano ha avuto all’estero, Sette note in nero gode di una certa notorietà, e Tarantino lo sa bene.

L’incipit rivela le doti extrasensoriali di Virginia, sorvolando sulla testa di cartapesta che rimbalza sulle rocce, ma anche questo fa parte di quel cinema un po’ casereccio anni '70, assistiamo ad una visione della protagonista che è l’architrave dell’intero film.
La verità sta nei particolari, o nelle righe di una lettera che non andrebbe letta. Da rivedere assolutamente la scena onirica, costruita in maniera geniale al pari dell’intrigo-enigma che si cela dietro al muro. Chi è quella donna? Chi è Agnese ? Chi è Francesco? Ma soprattutto chi è Virginia?
La visione che diventa premonizione non è originale ma fa il suo effetto, così anche l’uomo che zoppica, arranca, si trascina, crediamo che è, invece non è. Forte.
Guarda un’immagine, poi svuota la scatola di un puzzle e ricomponi l’immagine che hai visto in precedenza, il senso è più o meno questo. C’è un lume, che dovrebbe assicurare la luce, la conoscenza, eppure la vicenda è torbida, poi c’è un giornaletto farlocco, e la nicchia.
Il custode del casale si lascia sfuggire che Francesco era un Casanova, lei annuisce sorridendo, ancora non sa, noi invece sappiamo che è un giallo e l’assassino sarà sicuramente il meno sospettato. Però.
C’è un professore, sembrerebbe il carnefice perfetto, ma questo è un giallo come si deve, non sarà lui il colpevole.
Di buche ce n’è, o forse sono io che ho dei vuoti mentali, ma chi è quella donna coi capelli azzurri? Perché Virginia non chiama la polizia dopo l’inseguimento del professore? Cosa vuol dire il titolo?
Stupenda la protagonista (foto per credere) Jennifer O’Neill, classe pura, un pelo sotto la recitazione se paragonata alla sua bellezza, Gianni Garko abituale presenza di Centovetrine (o è Vivere?) dove anche lì fa il piacione, è comunque bravo a ribaltare il proprio ruolo.
Più che buono in fin dei conti, da seguire attentamente però, se no c’è il rischio di perdersi.

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